In occasione della Festa dei lavoratori ripubblico un articolo che scrissi 11 anni fa sulla lotta dei lavoratori della fabbrica INNSE vicino a Milano tra 2008-2010; pubblicato poi su Il Primo Amore. Delle altre foto si trovano qui.
DAVANTI ALLA FABBRICA
A fine agosto 2009, al presidio davanti alla fabbrica INNSE, intorno al tavolo da pranzo si parlava ancora dei giorni sulla gru. Si raccontava degli aneddoti alle persone che non avevano potuto essere presenti. “Un giorno Luigi aveva sete e s’è bevuto l'Amuchina, poi è impallidito: ‘Sto male, sto male!’ Beh, hai appena bevuto del disinfettante…” L’interessato raccontava a sua volta di aver ricevuto sulla gru una telefonata dalla suocera: “Lei mi fa: ‘Sei sulla gru?!’ E io: ‘Beh…’ E lei: ‘Scendi subito! Torna a casa!’“ Neanche il cane ha più riconosciuto Luigi quando è finalmente tornato a casa: “Mi ha ringhiato, tanto ero sporco. Si è avvicinato solo dopo che ho fatto la doccia.” Come passatempo sulla gru andava bene anche lo sbeffeggiare i poliziotti: “Facevamo i turni, uno di noi si metteva a urlare ‘Bastaaa, mi avete rotto, voglio scendere!’ e i poliziotti correvano a vedere cosa succedeva. Però negli ultimi giorni non ci cascavano più.” Ognuno ha trovato il proprio modo per sopportare l’insopportabile soggiorno nella caldissima fabbrica. “Mi è venuta in mente la vita che facevo prima: andavo in giro senza niente, solo con il sacco a pelo” dice Fabio “Però è stata veramente dura lassù”.
Vincenzo, pure lui uno degli uomini saliti sulla gru, si fa serio. “Adesso si può parlare di tutto questo con leggerezza però è stato dura, durissima. Tutti quei 14 mesi prima dell’agosto del 2009...” Lo si vede e lo si sente dalle parole di tutti gli operai. “L’inverno scorso soprattutto, star qui alla portineria, nevicava, faceva freddissimo, e la polizia era là fuori.” A settembre 2009 sembrava che tutto fosse a posto; l’INNSE aveva un nuovo proprietario, Camozzi, e i primi operai avrebbero ripreso il lavoro all’inizio di ottobre. Eppure “È una vittoria amara” osserva Vincenzo “ci siamo liberati da un padrone e adesso cominciamo a lavorare per un altro. Sono gli altri che faranno i soldi; noi torniamo a fare gli operai, non a fare i dirigenti.”
Con tutto il clamore degli otto giorni e sette notti dei cinque “gruisti” – quattro più uno, ci tiene a precisare Vincenzo, 4 operai ed un sindacalista – è rimasta nell’ombra una grossa parte della protesta, altrettanto dura e non meno importante. Anzi, il punto fondamentale sono proprio tutti quei 14 mesi di lotta e resistenza prima dell’agosto 2009: mesi durante i quali gli operai sono rimasti prima all’interno della fabbrica gestendola da soli e poi, dopo lo sgombero effettuato dalla polizia davanti alla fabbrica, nella vecchia portineria. Durante tutto quel periodo gli operai, rimasti sempre molto uniti, hanno cercato di cambiare lo stato delle cose sia con mezzi convenzionali sia con mezzi più controversi. E tutto questo con le istituzioni teoricamente coinvolte – teoricamente, perché quello che è successo poi nella pratica non accontenta completamente Vincenzo e i suoi colleghi: “Maria Sciancati, la responsabile FIOM CGIL di Milano ha dichiarato nei primi tempi ai giornali: ‘È una bella lotta ma non esportabile.’ Ma quante manifestazioni abbiamo fatto… una quarantina, e tanti incontri. I sindacati erano sempre presenti a tutti gli incontri però la situazione non si risolveva. La Regione dice di fare “una politica del lavoro”, ma che politica è, se non sono mai intervenuti seriamente durante quei 14 mesi? Ancora lunedì 3 agosto 2009, quando siamo andati in Prefettura a chiedere che lo smontaggio dei macchinari venisse sospeso immediatamente, il Prefetto ci ha detto: ‘Figli miei, non posso fare niente.’ Lo stesso giorno siamo andati anche in Regione e siamo rimasti lì nei loro uffici fino alle sette di sera e non ci hanno neanche lasciato uscire per prenderci un panino.” Il giorno dopo, il 4 agosto, come si sa, gli uomini sono saliti sulla gru e sono rimasti lassù per otto giorni. “E adesso quelli delle istituzioni e simili, adesso sono tutti lì a prendersi le medaglie… ma va bene così, che se le prendano pure, l'importante è che noi rientriamo, che abbiamo i nostri posti di lavoro”.
Vincenzo è allo stesso tempo anche estremamente contento e orgoglioso di ciò che hanno fatto: “Siamo riusciti a dimostrare che la volontà di un padrone non è la volontà di Dio, non è una verità assoluta. Tutti pensavano gli operai fossero una cosa cancellata, ormai, roba vecchia. Il messaggio che vogliamo trasmettere è che non bisogna accettare supinamente. Facendo la nostra protesta abbiamo studiato e avviato un “metodo INNSE”: agli incontri abbiamo sempre indossato le nostre divise, siamo andati a trovare le istituzioni in gruppi di almeno 15 persone, tutti in tuta. Se tu vai a trovarli con qualche decina di persone con striscioni e tutto non ti fanno entrare. Un delegato operaio in tuta è un’altra cosa: negli uffici non sono abituati alla presenza degli operai, già quello li mette in difficoltà. Certo, è stato un tira e molla continuo, però intanto eravamo nei loro uffici.”
Nel passato la fabbrica ha avuto diversi proprietari. “L’INNSE è sempre passata di mano” racconta Vincenzo “negli anni buoni facevamo delle turbine di oltre dieci metri. La prima crisi c’è stata nel 1999, durante la gestione dei tedeschi. A un certo punto loro hanno deciso di chiudere l’officina di Milano, non perché l’officina non sarebbe più stata produttiva ma perché i tedeschi ne avevano già un’altra in Germania e tra quell’officina e la nostra, dovendo scegliere quale tenere, han tenuto quella tedesca. In tre mesi hanno trovato un acquirente, il Gruppo Manzoni. Però nel 2001 Manzoni è andato in fallimento e di conseguenza anche l’INNSE è andata in difficoltà. A questo punto è subentrato lo Stato. Poi è arrivato Genta.”
Già, l’ormai famigerato Genta. Vincenzo vede nelle azioni di Genta un quadro piuttosto chiaro. “Genta ha potuto comprare l’azienda a prezzo basso, veramente basso, solo 700 mila euro, in cambio alla promessa allo Stato che lui si sarebbe impegnato a sviluppare l’azienda. Invece il piano è stato vendere l’INNSE pezzo per pezzo; se ci fosse riuscito, ci avrebbe guadagnato 10 milioni di euro. Ha preso solo 3 milioni di euro – contro i 700 mila iniziali però.” Dunque, nel 2006 Genta diventa il proprietario dell’INNSE. “Ora, la legge Prodi bis prevede che per i primi due anni non puoi rincorrere ai licenziamenti. Quindi, lui s’è messo ad aspettare che il tempo scadesse e intanto ha anche lasciato che le cose andassero male. Nell’intervista di “Panorama” Genta sostiene di aver investito, in questi due anni, 7 milioni di euro. Peccato che noi operai questi investimenti non li abbiamo proprio visti; non ci ha mai portato neanche nuovi guanti o nuove scarpe antinfortunistiche. Anzi, indossavamo addirittura sempre le tute della vecchia INNSE. Genta non ha mai fatto fare le visite antinfortunistiche, previste dalla legge peraltro. Per due inverni siamo stati nella fabbrica al freddo. Diverse volte ci ha portato in officina delle presse smontate, sporche di olio e di grasso e ci ha fatto lavarle nel piazzale. Il grasso andava nei tombini. Gli abbiamo detto che così si sarebbero avvelenate le falde acquifere, ma a lui non importava.”
Puntualmente dopo due anni Genta decide di chiudere l’azienda. “Il 31 maggio 2008 Genta ha comunicato la cessazione dell’attività e ha aperto la procedura di mobilità di 75 giorni. Il 18 agosto 2008 c’è stato un incontro all’Ufficio regionale del lavoro. Noi dipendenti non siamo neanche entrati; è salita solo Sciancati della FIOM e noi siamo rimasti fuori a manifestare. Noi abbiamo rifiutato il collocamento e abbiamo detto a Sciancati di dire che non accettavamo l’accordo – che venisse segnalato “mancato accordo”. Negli incontri di questo genere di solito si arriva ad un accordo che prevede che i lavoratori vengano risistemati in modi diversi: alcuni vengono messi in cassa d’integrazione e in mobilità e gli viene concessa l’indennità di disoccupazione sulla base dell’età, ad altri magari si trova un altro posto di lavoro. Tutto questo in cambio della chiusura consensuale dell’azienda. Questo è il passaggio critico nei casi simili; spesso i lavoratori accettano l’accordo.” È comprensibile, spesso la gente teme di rischiare troppo se non accetta le proposte – o ricatti, come li definisce Vincenzo. “Per esempio Sesto San Giovanni con i casi della Falck e della Breda era una fortezza; però loro hanno accettato l’accordo alla fine. Noi invece non l’abbiamo accettato.” Il 22 agosto 2008 Genta licenzia tutti.
Già subito dopo il comunicato della cessazione dell’attività gli operai non sono rimasti con le mani in mano. Innanzitutto hanno comunicato a loro volta che l’azienda era in salute, non c’era nessun motivo per chiuderla. Poi hanno avviato la gestione diretta della fabbrica. “Abbiamo mantenuto lo stesso regolamento per far funzionare tutto, perfino nella gestione della mensa; c’è stato l’ingegnere a lavare i piatti e gli operai a fare i cuochi. In quei tre mesi abbiamo fatto 170 mila di fatturato – e non 50 mila come sostiene Genta – e abbiamo funzionato.” Tanto che uno dei loro clienti, l’ORMIS, si dichiara disponibile ad acquistare la fabbrica. “Con l’ORMIS siamo entrati in confidenza, loro venivano qua a controllare i lavori. Nel giugno 2008 l’ORMIS ha comunicato la volontà di comprarci, ma Genta ha rifiutato. Le istituzioni ci hanno detto ‘Se Genta non vuole vendere non possiamo mica costringerlo’, e l’ORMIS giustamente ha detto 'Se non me la volete vendere allora me ne vado.’ Avevamo tutti gli elementi per risolvere tutto già nel giugno 2008.”
Durante la resistenza si continuava comunque a cercare aiuto dalle istituzioni: “Alla Provincia abbiamo parlato con Filippo Penati e gli abbiamo fatto una proposta – un po’ provocatoria però comunque fattibile – di essere prelevati dalla Provincia stessa; loro avrebbero potuto farlo facendo un consorzio. Questa proposta era basata sul fatto che ormai anche le banche vengono nazionalizzate, perché non farlo anche con l’INNSE? Con un gesto del genere avrebbero sicuramente guadagnato una valanga di voti degli operai. Penati non ci ha nemmeno voluto pensare.”
Anche agli operai sono state fatte delle proposte: “Ci hanno proposto di fare una cooperativa per cominciare a dirigere la fabbrica in modo permanente. Però in quei tre mesi di gestione diretta abbiamo visto come funziona: come operai saremmo divisi fra dirigenti e esecutori al servizio del mercato – no, grazie. Alla fine abbiamo preferito un altro padrone, così abbiamo un avversario con cui lottare!”
Genta intanto continuava a sostenere la tesi del fallimento. Durante la sua gestione aveva anche ordinato di rifiutare le commesse entrate. E non solo: “Lui ha fatto delle fatture false per fare vedere che l’azienda sarebbe da chiudere. Noi quelle fatture le abbiamo presentate alla Digos ma la Guardia di Finanza non è mai venuta.” Vincenzo suppone che Genta abbia cominciato a vendere i macchinari a gennaio del 2009. “Evidentemente avevano un certo valore visto che è riuscito a venderli in pochi mesi.”
La gestione diretta degli operai dura tre mesi. Il 17 settembre 2008 arriva la polizia e mette gli operai fuori dalla fabbrica. Però l’occupazione della portineria continua. “Abbiamo fatto due tentativi di rioccupazione della fabbrica, senza successo.” Il 20 febbraio 2009 ci sono stati anche scontri con la polizia e i carabinieri.
Durante tutto il periodo hanno aderito alla protesta dell’INNSE vari gruppi – istituzionali e non – e molti privati. Vincenzo esprime la sua gratitudine: “È stata bellissima la solidarietà che abbiamo ricevuto. Comunque ci vogliono soldi per mandare avanti il presidio, ad esempio per dare da mangiare alle persone ogni giorno a pranzo e a cena.” Poi con una certa amarezza aggiunge: “In tanti hanno parlato bene di noi, della nostra resistenza, però alla fine domenica 2 agosto ci siamo comunque trovati la polizia davanti – e Genta dentro che smontava le macchine”. Roberto Giudici, il sindacalista e quinto “gruista”, viene promosso. “È stato bello che lui sia stato con noi. Lui sa che non scherziamo”. Giudici infatti non è stato assente nei momenti difficili neanche prima, e gli scontri con la polizia a febbraio li aveva sperimentati letteralmente sulla propria pelle.
Salire sulla gru è stata una decisione presa in condizioni di emergenza, una mossa pianificata e calcolata sul momento e senza che agli uomini fosse venuto in mente che avrebbe potuto avere conseguenze di vasta portata: “Il 2 e il 3 agosto sono stati giorni di isolamento e fallimento totale. Quando siamo saliti sulla gru, non abbiamo pensato di risolvere la questione così come è stata poi risolta, con la vendita della fabbrica. In quel momento l’unica cosa che volevamo è stato fermare lo smontaggio dei macchinari.” Vincenzo rievoca la situazione con un certo divertimento: “Quando abbiamo cominciato a urlare dalla gru, gli uomini che erano lì sotto a smontare le macchine ci hanno guardato come matti”. Anche la polizia arriva e decide di mandare fuori gli smontatori. “A quel punto per noi il risultato era già stato ottenuto. Però guardando giù dalla gru, ci ha incattivito ancora di più la vista dei macchinari parzialmente smontati, alcuni già più della metà.” Così gli uomini sono rimasti su. “È stata l’ultima volta che abbiamo visto Genta.”
I giorni passavano, ma la soluzione finale si faceva aspettare, nonostante le varie novità che arrivavano sui potenziali acquirenti. Anche Fabio si ricorda del giorno prima di salire sulla gru: “Prima ci dicono che hanno provato tutto e non possono fare niente. Allora come mai, quando siamo saliti sulla gru, dopo un giorno è spuntato un potenziale acquirente? E il giorno dopo ne è spuntato un altro. Il quarto giorno un altro ancora. E poi alla fine Camozzi ha comprato la fabbrica.”
Lunedì 10 agosto è stato il penultimo giorno che gli uomini hanno dovuto trascorrere sulla gru ma allora non lo si sapeva. La stessa sera, dopo una visita sulla gru, Maria Sciancati della FIOM è riuscita a far ridere la moglie di Vincenzo fuori dai cancelli della fabbrica: “La barba di Vincenzo è cresciuta – ma sembra più giovane!” Sciancati si sarà sforzata per apparire forte davanti alle mogli preoccupate, perché Vincenzo ha un altro tipo di ricordo di Sciancati: “Si è commossa quando ci ha visti sulla gru; allora ho pensato che ci avrebbe preso sul serio.”
Ormai arrivano ovviamente tanti complimenti per la protesta ma Vincenzo vuole mantenere una certa distanza. Non è facile dimenticare che nei tempi più difficili non è arrivato nessuno a dare loro una mano seriamente: “Diversi partiti politici ci hanno invitati a incontri ed eventi vari; abbiamo detto no a tutti. Noi vogliamo stare fuori dai partiti, da qualsiasi partito. I partiti possono starsene a casa”. A proposito di interventi pubblici, non ci sarebbe da sorprendersi se cominciassero ad arrivare inviti per andare a parlare in TV: “Però non ci andremo. Possono venire qua, se vogliono, ma noi non andiamo nei loro studi; non vogliamo finire in una situazione come ad esempio nel programma di Santoro. Non ci lascerebbero parlare.” Gli operai dell’INNSE non si riconoscono negli articoli sui giornali, neanche in quelli che parlano bene della loro protesta: “Spesso negli articoli sembra che noi siamo felicissimi a fare gli operai. Certo che siamo contenti del fatto che non perdiamo i nostri posti di lavoro però noi torniamo a lavorare in fabbrica: è un lavoro pesante. Si tratta di sussistenza, non di piacere.” Tra i giornali, ci sono anche quelli che non trovano cose positive nella protesta. “Quelli del 'Libero' stanno facendo una guerra contro di noi” sbuffa Vincenzo “Hanno addirittura scritto che se non avessimo fatto quello che abbiamo fatto, adesso non bisognerebbe pagare il conto dei poliziotti che sono stati mandati qua”.
Forse anche Genta si farà ancora sentire. “Genta non ha mai pagato lo smaltimento dei rifiuti e la mensa è piena di debiti, però all’improvviso ha i soldi per incaricare avvocati costosissimi”. In più questi avvocati paiono piuttosto agguerriti: “Noi volevamo entrare in fabbrica già in agosto, giusto qualche volta alla settimana, per cominciare a rimettere a posto l’officina, in attesa di Camozzi. In più, avevamo concordato di restituire a Genta gli attrezzi per lo smontaggio delle macchine che lui ha ancora lì dentro. Avevamo un accordo diretto con Genta per entrare in officina. Però poi un giorno è arrivato l’avvocato di Genta qui al presidio e ci ha detto che l’accordo non valeva più e non potevamo entrare.”
Tutto sommato, Vincenzo non canta ancora vittoria: “Per il momento il presidio rimane qua alla portineria. È ancora da vedere cosa succede, noi non ci fidiamo del tutto. Non sarà così semplice neanche il riavvio della fabbrica: ci sono 49 persone, e alcune per esempio devono essere riqualificate.” Il rientro dei primi operai era previsto per il primo ottobre, poi la data è slittata al 12 ottobre a causa della questione di un macchinario che Genta aveva già venduto a un’altra azienda e delle trattative con il proprietario del suolo su cui la fabbrica si trova. Quindi fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. C’è poi un paradosso: Camozzi non avrebbe potuto comprare l’INNSE se non avesse l’anima da imprenditore che vuole fare profitto. “Abbiamo incontrato Camozzi, siamo andati a trovarlo. È stato un incontro informale; lui ci voleva conoscere, ci ha fatto vedere la sua fabbrica a Brescia. Però… alla fine Camozzi è comunque un padrone pure lui.”
Dopo qualche mese torno a trovare Vincenzo. È la fine di febbraio del 2010; il presidio accanto alla portineria è stato svuotato e la fabbrica è in fase di riavvio. La produzione è ricominciata già da tempo, però c'è ancora molto da sistemare. Alcuni macchinari hanno preso un nuovo colore, altri sono in attesa di essere verniciati. Nella fabbrica fa piuttosto freddo, perché il riscaldamento non funziona bene; il sistema vuole il suo tempo per riavviarsi dopo esser stato fermo a lungo, come mi spiega il responsabile della sicurezza della Camozzi. Buona parte degli operai gira per la fabbrica con un berretto in testa. “Allora come ti sembra?” mi chiede Fabio con un ampio sorriso “Abbiamo fatto bene a lottare?”
A distanza di oltre sei mesi dal subentro di Camozzi, Vincenzo continua a pensare che quello che hanno ottenuto sia in parte una “vittoria amara”: “È stata una cosa strana rientrare per la prima volta quando la fabbrica è stata riaperta; ho vissuto una contraddizione. Da un lato ero estremamente contento, è stato quasi da non crederci: stavamo rientrando al lavoro davvero! Per questa storia un finale più bello di così forse non si poteva avere. Alcuni, durante quei mesi, erano stati tentati di arrendersi. Ma allo stesso tempo ero consapevole del fatto che stavo tornando a fare l'operaio, appunto, con tutti i limiti del mestiere: bassi salari, condizioni di lavoro difficili e così via. Siamo stati forti e irriducibili – però siamo tornati operai. Adesso si parla solo di come tutto è stato riappacificato, ma noi stiamo lavorando in fabbrica; ragazzi, questo è duro."
Comunque la contentezza è forte, così come lo è il sentore di aver fatto la cosa giusta, in maniera giusta. “Rifarei tutto uguale, tutta la protesta”. Poi Vincenzo scoppia a ridere: “Sarò presuntuoso, ma non penso di aver commesso degli errori”. Anzi, Vincenzo pensa che tutto questo gioverà anche agli altri, che sarà da esempio e da modello d'azione. “Io penso che la nostra esperienza non vada persa; voglio distillare e trasmettere l'insegnamento di quello che abbiamo fatto. Voglio dire agli altri che sono nelle situazioni simili ‘Operai, decidete voi.’ È quello che abbiamo fatto noi. Noi non abbiamo ceduto davanti alle proposte di accordi vari”.
Secondo Vincenzo la loro esperienza potrebbe avere anche ripercussioni più ampie, ovvero cambiare anche i sindacati: “Si è capovolto il rapporto. Prima i sindacati dicevano cosa fare in queste situazioni, adesso invece è successo che ad agosto Rinaldini della FIOM-CGIL è venuto sotto la gru a chiedere a noi: ‘Cosa facciamo?’ Se la tendenza INNSE va avanti, penso che il sindacato si rigenererà.”
È anche stata ottenuta una tregua su un fronte importante: con Genta. C'era il rischio di cause e denunce reciproche tra le due controparti, Genta e gli operai; lui doveva dei soldi ai dipendenti i quali, secondo i suoi avvocati, avrebbero violato la legge durante la loro lotta, ad esempio occupando la fabbrica e i macchinari. “Abbiamo fatto con Genta un accordo in prefettura. In sostanza ciò vuol dire che lui ci ha pagato come liberatoria euro 75.000 e le parti si sono impegnate a non sporgere nessuna denuncia.” Vincenzo vuole sottolineare una cosa, in merito ai soldi ricevuti: “Genta aveva dei debiti nei nostri confronti; somme diverse per ognuno. Però, anziché cominciare a dividere i soldi esattamente a seconda di quanto spettava a ciascuno, abbiamo preso i soldi e li abbiamo divisi ugualmente tra tutti.”
È stato risolto anche un altro punto dolente, ovvero le multe derivanti dall'occupazione della tangenziale all'inizio di agosto 2009. Il Prefetto ha promesso di impegnarsi per annullarle. Rimangono ancora le denunce annesse, e si spera che anche quelle verranno ritirate. “Se no, al primo atto di tribunale noi faremo uno sciopero e andiamo a manifestare. Si tratta di denunce a due persone, di cui una non è nemmeno un nostro operaio, però noi abbiamo fatto tutto quanto insieme, e tutti noi insieme ne assumiamo la responsabilità."
Vincenzo torna ancora sull'argomento dell'essere contenti o meno della situazione raggiunta: “Sai cos'è la sindrome di Annibale? È quando dopo tutte le conquiste non sei comunque contento. Sarà il nostro caso?”
Intanto la fabbrica va avanti. Oltre a quelli che sono ritornati al lavoro, sono stati assunti anche nuovi operai. “Lunedì prossimo arriveranno sei nuovi operai, assunti, e loro ci rispetteranno, perché senza di noi non ci sarebbero questi nuovi posti di lavoro” dice Vincenzo, con visibile fierezza “comunque, siamo ancora in una fase di transizione. Ci mancano ancora lo spogliatoio e la mensa, perché Camozzi deve ancora definire precisamente l'area di azione; li costruiranno in base a quello. C'è una data di scadenza, il 30 aprile. Se entro quella data non è successo niente, faremo un atto di protesta”.
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